Tra conferme e delusioni, ecco perché questi Giochi rimarranno sempre impressi nei nostri ricordi.
Ieri pomeriggio si sono conclusi a PyeongChang i Giochi Olimpici Invernali numero 23 dell’era moderna con una cerimonia notevolissima (E splendida, personalmente. Magari meno sontuosa di tante altre come anche in quella d’apertura, ma enormemente ricca di significato) che ha messo come punto focale non la fine dell’evento, ma la continuità che esso rappresenta nel corso del tempo e il susseguirsi delle varie esperienze storico-reali nel corso dello stesso, quale è l’Olimpiade.
Tanti sono gli spunti di riflessione che PyeongChang2018 ci ha lasciati in eredità: innanzitutto partirei dal valutare i nostri azzurri; l’obiettivo delle dieci medaglie sancito dal presidente del CONI, Giovanni Malagò, si può dire che sia stato raggiunto.
Le emozioni non sono mancate, e la consacrazione di alcuni atleti è stata la ciliegina sulla torta di una spedizione comunque positiva: penso ad Arianna Fontana che è diventata l’atleta di short-track più vincente della storia delle Olimpiadi, penso a Sofia Goggia che ha conquistato un titolo incredibile che va a suggellare un percorso di crescita il quale, son più che certo, la porterà a livelli notevolissimi, penso alla caparbietà di Federico Pellegrino che si è arreso soltanto a un mostro come Klæbo dimostrando tutto il suo valore che lo ha un anno fa portato a vincere un titolo del mondo, penso alla caparbietà di Michela Moioli, un grande esempio nonostante la sua giovane età già solo per il fatto di rialzarsi in quel format di gara in cui era caduta e si era ferita quattro anni prima, per poi trionfare prendendosi l’alloro forgiato dal fuoco di Olimpia che meritava, penso a tutti quelli che han dato il massimo a prescindere se siano riusciti o meno nei loro intenti. Penso a loro, e alle emozioni che ci han riferito.
Sono tanti gli spunti di riflessione in questo senso, e penso che farle tutte significherebbe utilizzare un quantitativo di pagine che sarebbe anche lungo e noioso da leggere, ma si può dire però con assoluta certezza che i nostri colori si attestano in una via di mezzo ossia, si poteva fare meglio ma anche molto peggio: molti atleti sono a fine carriera (Vedi Kostner, Fischnaller, ecc.) e più di quello che hanno realizzato non si poteva fare, ed è vero che in alcune discipline ci si aspettava molto, molto di più come nel Biathlon e nello Sci Alpino soprattutto in quel del tecnico e al maschile in generale, ma qui occorre puntare la lente di ingrandimento sulla mentalità dello sport italiano che deve credere maggiormente in queste discipline migliorando mezzi e strutture.
La cosa positiva è che molti atleti sono in rampa di lancio e, in questo quadriennio che ci separa da Pechino 2020, l’esperienza di oggi possa tramutarsi nella maturità di domani. E se oggi sono 10 le medaglie domani, perché no, potrebbero essere anche 20. Tutto sta però nella continuità del crederci come scritto sopra, e anche nel supporto dello sport italiano che deve essere ancora maggiore.
E’ facile fare critiche per una prestazione non ottemperata al meglio da un atleta, ma bisogna fare sempre un discorso molto più ad ampio raggio soprattutto legato agli aspetti che vanno sopra il gesto tecnico perché quest’ultimo, se non viene supportato al 100% dal punto di vista organizzativo, non è idoneo alla ricezione della critica. Pensiamo a come in Italia abbiamo tanti problemi per lo svolgimento degli sport da budello, per i trampolini di salto con gli sci, e per tante altre cose.
Le potenzialità tecniche ci sono, l’auspicio è che possano crescere parimenti al sostegno del nostro sport che ancora, può darci enormi soddisfazioni anche nel breve periodo. Basta crederci, e avere il coraggio di investirci, ma se non lo si fa allora non è possibile attuare certe critiche. Per loro stessi, per noi, e per il nostro paese quale l’Italia che di sport vive.
La copertina di queste Olimpiadi però la farei realizzando un podio: sul terzo gradino metto Ester Ledecká, la ceca, capace di vincere in due sport diversi nella stessa edizione dei Giochi Invernali, prima nello Sci Alpino nel Super-G e poi nella sua specialità, il parallelo di Snowboard; una impresa leggendaria che va ad aggiornare i libri di storia dello sport quando i precedenti risalivano prima addirittura agli anni venti di un secolo fa con i norvegesi Thorleif Hauge e Johan Grøttumsbråten che erano riusciti in questa impresa centrando l’accoppiata sci di fondo e combinata nordica (Sport nettamente più vicini rispetto a quelli della Ledecká!) rispettivamente a Chamonix-Mont-Blanc nel 1924 e a Sankt Moritz nel 1928. Una grande Ester dove la sua reazione incredula al termine della visione del tabellone con il suo nome contrassegnato dalla luce verde è una delle cartoline sportive più belle mai viste perché lancia il messaggio che, se ci credi fino in fondo, raggiungi davvero ciò che desideri anche nel momento più impensabile che spesso coincide con il più rilevante;
il secondo posto lo dò a una sorta di alieno sceso in terra capace di andare, nell’ambito dei suoi gesti tecnici, al di là sport raccontando ogni volta pagine di autentica poesia: Yuzuru Hanyu. Quando parlo di Hanyu mi trovo assolutamente concorde con il celebre cronista di Eurosport, Massimiliano Ambesi per me un grande punto di riferimento in fatto di informazione sportiva invernale, quando afferma che lo stesso rappresenta “l’onnipotenza tecnica che sposa l’eccellenza artistica”. Penso che non ci sia modo migliore di rappresentare questo giapponese che qui in Corea ha posto in essere un meraviglioso back-to-back con Sochi2014 diventando il primo pattinatore a vincere due ori olimpici maschili dopo Dick Button, che aveva vinto nel 1948 e nel 1952. Se non sapete di cosa io stia parlando, andatevi a vedere qualche video su internet e capirete che siamo al cospetto non soltanto probabilmente del più grande di sempre, di uno la cui menzione di risultati e record vari gli stonerebbe perché sarebbe pure riduttivo oltre che offensivo, ma anche del perfetto esempio di come il gesto sportivo possa, con naturalezza, schizzare nel mito ed entrare nella sala della leggenda. Inarrivabile;
ma la prima posizione la dò a una persona incredibile cui mancano anche le definizioni adatte oramai per definirla: senza troppi giri di parole, stiamo parlando di Marit Bjørgen. La norvegese, la più grande fondista di sempre ieri è stata premiata per il suo ultimo oro olimpico davanti ad uno stadio in tripudio per lei che l’ha celebrata per l’immensità che è durante la cerimonia di chiusura. Ecco, quando penserò a PyeongChang 2018, avrò sempre davanti quegli occhi luicidi non solo di commozione ma anche di determinazione che la Bjørgen, dall’alto delle sue quasi 38 primavere su quel podio, ha mostrato volendo indirettamente fare a tutti noi un regalo in termini assoluti: ossia il messaggio che il talento e la forza non ha età, e si può esplicarli congiuntamente in qualsiasi momento, in qualsiasi contesto, attraverso l’applicazione e la cultura del lavoro facendoti dominare il tuo sport per più di venti anni portandoti a conquistare il record di medaglie olimpiche, 15, superando miti come Bjoerndalen e Dælie. Grazie per aver fatto tutto ciò Marit. Nessuno come lei e ieri, c’è stata davvero la sensazione di aver fermato in qualche modo il tempo con un pizzico di magia come solo i Campionissimi sanno fare. Ti dobbiamo più di un grazie.
Per il resto i grandi campioni non hanno mancato l’appuntamento con il trionfo: pensare a Fourcade e Klæbo, a Hirscher, alla stessa Shiffrin che l’oro l’ha comunque preso, al grande Kamil Stoch, a Sean White, a Virtue / Moire… Insomma, gente che ha ribadito la sua essenza da numero uno e, spesso in tanti casi (E qui loro ne avrebbero ben donde a ribadirlo) da migliore di sempre nel contesto sportivo più importante di tutti. Dall’alto dalla loro grandezza e del loro esempio. Lo spot migliore da mandare in onda è senz’altro il loro per mettere in risalto l’essenza più pura dello sport.
Già, il tanto bistrattato e criticato sport che ha perfino anche la capacità spesso di unire laddove la politica divide… Chi avrebbe mai pensato a una Corea unita in alcune discipline? Si si lo so, in particolare i tifosi di hockey femminile a sud del 38° parallelo non son stati contenti della decisione per le ovvie ripercussioni tecniche, ma penso che non ci sia stato segnale e messaggio globale migliore di questo. Un messaggio di speranza, di unione, e anche della magia citata su in merito alla Bjørgen,
Già, forse perché la magia esiste davvero, ed è il potere delle Olimpiadi a darla attraverso non solo la condivisione, ma la certezza di ritrovarsi tutti ancora una volta umani sotto un’unica grande bandiera, quella coniugante non soltanto il rispetto, ma anche la tanto agognata ed auspicata pace.
Giovanni Platania. Blogger sportivo, laureato in legge, appassionato di sport soprattutto invernali. Una frase su tutti, da inserire in questo “viaggio”:
“non leggete come fanno i bambini per divertirvi,o,come gli ambiziosi per istruirvi. No, leggete per vivere.”
(Gustave Flaubert)