L’emozione di un ragazzo di nome Charles

“Un vincitore è solitamente colui che riconosce i suoi talenti naturali, lavora sodo per svilupparli in capacità, ed usa queste capacità per raggiungere i suoi obiettivi.”

Chi disse queste parole è un certo Larry Bird il quale, alla voce talento, ne sapeva a pacchi, andando a scrivere “discrete” pagine di storia di sport in senso generale e di basket nello specifico.

Può sembrare alla lettura sin qui di questo articolo che si possa essere abbastanza in off-topic con la natura di questo portale il quale, come è noto oramai, è solito parlare di sport invernali e abbastanza inusuale d’altro sebbene spesso in passato lo si è fatto; però, chi vi scrive, ritiene che sia una cosa buona e giusta fare adesso un nuovo strappo alla regola per scrivere di un ragazzo, abbastanza speciale, che ha già conquistato tutti.

Anche perché sci e F1 li accomuna la velocità, chiatamente non quella raggiungibile da una vettura certamente, ma sempre di andar veloci si tratta, soprattutto in senso prettamente emozionale, dove il segno dello sport copre i nostri sguardi attraverso la fierezza e la magia in modalità autentica.

Charles dopo aver dominato le categorie giovanili e dopo un anno di apprendistato super positivo all’esordio in F1 con la Sauber, quest’anno in Ferrari sostituendo un certo Kimi Raikkonen (Che ha fatto il percorso inverso con la scuderia elvetica), è entrato sì in punta di piedi, ma con la determinazione e la tempra di un predestinato che soltanto i futuri grandi piloti sanno detenere nel proprio interno andando anche oltre le aspettative magari con spesso una vettura non all’altezza, stupendo anche chi magari pensava che il suo arrivo a Maranello, fosse piuttosto frettoloso.

Tra le tante qualità che possiede Leclerc vi è la capacità di saper emozionare oltre l’ovvio stringendo tra le mani un volante di un bolide che cammina oltre i 320 orari; oltre l’ovvio significa quella sensazione che spesso nei talenti più puri si trasforma in certezza, di poter andare oltre le proprie possibilità andando a sconfinare in regioni di supremazia non ancora conosciute e tutte ancora da esplorare; regioni che spesso nascondono glorie ed onori.

Se chiudessimo gli occhi troveremmo qui un puro sapore di romanticismo attraverso un ragazzo che ricorda uno sport d’altri tempi, dove non era presente tutta l’elettronica di oggi ed era tutto sulle spalle del pilota, magari con una manetta del cambio vicino all’ingresso della monoposto… Ora é un’altra cosa, ma il modo di interpretare i vari tracciati da parte di questo giovane monegasco, ci fa riassaporare tempi andati nelle lancette del tempo ma mai all’interno dei nostri animi facendoci pensare ad autentici campioni che, per il momento, non è per niente giusto menzionare.

La capacità di andare oltre, oltre ogni cosa. Con quel numero 16 che già ti identifica e che ti “veste” alla stessa stregua di un abito elegante sfoderabile durante una cerimonia solenne per le grandi occasioni.

Lo hai fatto anche ieri, vincendo la tua prima gara nella massima serie della tua carriera in una giornata abbastanza difficile, il giorno dopo la tragedia che ha tolto la vita a un tuo amico, reagendo al dolore e al dispiacere guidando come un fuoriclasse dentro e fuori; resistendo alla rimonta di uno dei primi 5 piloti più forti di tutti i tempi, mantenendo saldo il controllo dell’attimo, con la consapevolezza che il momento era davvero quello buono, ed è stato così, arrivando in un misto di gioia certamente, ma parimenti di profonda tristezza per l’incidente del sabato pomeriggio in F2. Sei andato oltre e hai fatto capire, ancora una volta, quanto speciale sei.

Già Charles, lo hai fatto soprattutto perché sei stato ancora una volta un guerriero in pista, e un Signore fuori. Perché sei un ragazzo semplice e pulito con tanta voglia di sognare come milioni di noi, perché hai la capacità già da ora di essere un esempio per una nuova generazione e non solo, attraverso quelle che sono le tue qualità umane e che sprigioni quando cali la visiera del tuo casco.

Hai fatto riprendere a molti di noi vecchi moleskine, dove magari abbiamo segnato da piccini gioie e lacrime per una rossa e che avevamo accantonato da tempo, e ce lo hai rimesso in mano per rimettere dentro il tuo nome consapevole che, questo gesto certamente, lo ripeteremo più e più volte in questi anni.

Non sappiamo cosa ci riserverà il futuro, quel che è certo però è che esso é davvero tuo e alzando gli occhi stasera tristi al cielo, tuo padre, Antoine, e Jules saranno orgogliosi di te e di ciò che scriverai nel grande libro dello sport.

Bravo piccolo campione, ieri hai messo il primo mattoncino in un presente dove le luci della ribalta per adesso son puntate verso altri, ma devi essere tranquillo e sopportare le pressioni, perché andrai ad intraprendere un viaggio nel corso di un tempo magico ed unico che ti crescerà assieme alla tua forza, e che ti riferisce attualmente che il meglio deve ancora venire, perché il tuo nome ed è già scritto, e presto andrà a compiersi nel più prestigioso firmamento delle stelle del libro dello sport mediante quel 16 che ha già il sapore di una storia già ricca di brividi corsi lungo la schiena.

Goodbye, our old friend

Niki Lauda se ne volato in cielo.

É davvero triste quando bisogna commentare delle notizie di questo tipo, soprattutto quando sononriferite a personaggi che hanno segnato inevitabilmente il mondo dello Sport in maniera talmente intensiva, tanto da travalicare lo stesso per poi andare a sfociare nella cultura di massa.

È stato più di un 3 volte campione del mondo, è stato un autentico fuoriclasse della pista, uno che ha unito la sua tecnica ad una lucidità incredibile nell’analisi di ogni situazione e di ogni tracciato.

Un guerriero autentico che nonostante l’incidente che lo ha sfigurato e segnato a vita nel 1976 al Nurbungring con la sua Ferrari 312T, non si è mai arreso e al più presto possibile è tornato in sella alla sua macchina cercando di seguire ancora i suoi sogni cercando di superare quelli che sono i suoi limiti vincendo ancora e ancora scaldando i cuori di milioni di appassionati, a Maranello, a Woking, e in qualsiasi luogo si ami la velocità convolata a nozze con lo sport.

Un personaggio silenzioso fuori dalla pista ma mai banale, e questa essenza pressoché unica la ritrovavi nella lucidità delle analisi in merito a qualsiasi tematica inerente alla Formula 1, la sua vita, la sua grande passione, una passione che lui ha contribuito a rendere grande attraverso gesta meravigliose annoverate nel volume più prestigioso dei libri di storia del Motorsport e dello sport in generale.  Pilota, ma anche imprenditore di successo con la sua compagnia aerea a dimostrazione di capacità incredibili e di una intelligenza sopraffina oramai rara in tempi come questi.

I duelli con l’amico/nemico James Hunt, gli anni in Ferrari, il ritorno vincente a bordo della McLaren, il ritorno fuori dalla pista a Maranello prima e in Mercedes poi diventando, da Presidente Onorario non esecutivo, uno dei punti di forza della scuderia a stelle e strisce che nell’era ibrida sta riscrivendo il libro dei record attraverso Hamilton, Rosberg, e Bottas; aneddoti incredibili legati al mondo dei motori che lo ricorderà indelebilmente come uno dei piloti più forti che siano mai esistiti al mondo.

Un punto di riferimento importante ancora oggi dove ha saputo mettere a disposizione tutta  la sua esperienza e saggezza in un mondo che non si ferma mai, riuscendo a trovare ancora una volta la chiave di volta con consigli e punti di vista importanti ponendo quell’ingrediente in più che gli ha consentito, in gioventù, di trarre il meglio da ogni performance cercando di trasmetterlo ai piloti di oggi.

Oscar Wilde disse una volta, abbastanza anche ironicamente, che “la morte è il modo che la natura ha di dirti che devi rallentare”, ma se tanto ci dà tanto, anche da dove sarà adesso, Lauda continuerà a correre sempre attraverso i sorrisi e i ricordi di chi lo ha ammirato, amato, apprezzato, e voluto bene.

Cala la bandiera a scacchi sulla tua vita, ma continuerai a vivere nella Leggenda che rimarrà eternamente viva e pulsante esattamente come i cavalli che facevi andare al massimo in ogni monoposto che hai bagnato con il gusto della vittoria e dell’infinito.

Ciao Niki.

Nel nome della leggenda: Gilles Villeneuve

« Lo chiamano Circo della Formula 1 e proprio come un circo si sposta di città in città, issa la sua tenda e fa spettacolo. Tra giochi di magie, belve e domatori il divertimento è sempre assicurato, così come il brivido che offrono gli artisti più spericolati quando tocca a loro salire sul filo teso nel vuoto e danzare. Nell’estate del 1977 tra le tende della Formula 1 si affacciò un pilota dallo sguardo dolce e dal cuore impavido, salì sul filo con la sua Ferrari e per cinque anni lo percorse fra capriole e piroette. Poi un giorno scese ed entrò nella leggenda… »
(da Sfide,  – Gli anni di Gilles Villeneuve, 2002)

Gilles Villeneuve

Quando si parla di Gilles Villeneuve mi è solito fare un parallelismo con un altro grande pilota del passato: Peter Collins.

Nel bene e nel male Collins e Villeneuve hanno avuto in comune seppur in epoche temporali differenti, tantissime cose: entrambi hanno corso per Maranello, sono stati grandi piloti di estremo talento nonostante il fato non gli abbia concesso di vincere un Campionato del Mondo (Sebbene Collins fece un gesto di grande cavalleria nei confronti di Fangio nel 1956 quando, dopo il guasto meccanico che coinvolse quest’ultimo, cedette all’argentino la propria vettura consentendogli di vincere l’iride), perirono entrambi  in pista in stagione in corso in vicissitudine a dir poco dolorose e drammatiche, e sono stati i pupilli più grandi che abbia mai avuto Enzo Ferrari.

Si disquisisce sempre se, all’interno di una famiglia numerosa, ci siano delle persone cui si voglia più bene rispetto alle altre soprattutto in ambito sportivo e, in particolare, in epoca passata quando tutto magari era molto più semplice e il romanticismo spesso nelle gare motoristiche era piuttosto diffuso.

Per Enzo Ferrari Collins ha rappresentato una vera e propria passione, anche personale visto il rapporto che lo coinvolse con il povero figlio Dino scomparso prematuramente, ma con Gilles… Con Gilles era tutto diverso. Villeneuve con Enzo Ferrari diede vita ad un binomio incredibile di passione, gioia, e assoluto coinvolgimento nel tifo sportivo.

« Il mio passato è pieno di dolore e di tristi ricordi: mio padre, mia madre, mio fratello e mio figlio. Ora quando mi guardo indietro vedo tutti quelli che ho amato. E tra loro vi è anche questo grande uomo, Gilles Villeneuve. Io gli volevo bene. »

Gilles Villeneuve in abitacolo
Gilles Villeneuve in abitacolo

Gli voleva davvero bene perché, per la prima volta, al di là del lato umano aveva visto un uomo che sapesse guidare esattamente la sua Ferrari come voleva: con sfrontatezza, genuinità, brutalità, e senso di totale appartenenza sin dal momento dell’ingresso in abitacolo.

E’ raro trovare qualcuno che diventi un tutt’uno non solo con la macchina ma anche con il mito cui è emblema la Scuderia Ferrari. Lui invece era l’eccezione che confermava la regola: era l’uomo giusto al posto giusto e l’unica cosa che lo poteva fermare, a parte spesso la sua irruenza un pò troppo fuori le righe in pista, fu un maledetto fato.

Poche storie, il canadese era davvero un grande. Un gigante della guida come NESSUNO. Nessuno mai si è avvicinato al suo stile di guida, alla sua tenacia, e alla sua voglia di vincere sempre e comunque. Non ha mai risparmiato un minimo rischio, non ha mai gestito, per lui esisteva solo ed esclusivamente la vittoria e nulla importava se per portarla a casa si metteva a repentaglio il lavoro magari di un weekend e di una serie di mesi.

Villeneuve ha portato la spettacolarità in un ambiente, quello della Formula 1, laddove fin troppo spesso (E soprattutto oggi…) si dà troppo spazio a calcoli, ragionamenti, e gestioni. Sono tanti gli avvenimenti che risalgono all’occhio quando si parla del fuoriclasse di Saint-Jean-sur-Richelieu, una cittadina del Québec in Canada: arrivi al traguardo su tre ruote, alettoni rotti e continuo di gara come se niente fossi, coraggio da vendere in sfide con avversari dotati di vetture magari più performanti tenendogli testa, e tante indelebili immagini gelosamente custodite nei libri della memoria degli appassionati: immortale il duello con Arnoux per la seconda piazza nel 1979 al gran premio di Francia, con un ruota a ruota straordinario che è entrato nella storia delle corse e che, probabilmente, è stato il duello più entusiasmante della storia.

Un uomo buono, che amava la sua famiglia, un pilota straordinario che ha scritto pagine importantissime nella storia delle corse sebbene non sia impresso il suo nome nell’albo d’oro (Ci riuscirà molti anni dopo suo figlio, nel 1996 Jacques, a bordo della Williams dopo una stagione ricca di duelli sino a Jerez con Michael Schumacher), a dimostrazione che spesso nello sport l’alloro non è la conditio sine qua non per l’ingresso nella sala dei campioni di ogni tempo.

Un uomo anche molto riflessivo fuori dalla pista, a testimonianza di numerosi aforismi che oggi arricchiscono tantissimi articoli a sua memoria; tra questi ve ne è uno che fa capire la passione e la dedizione completa che dava quest’uomo al suo lavoro, che diceva: “se mi vogliono sono così, di certo non posso cambiare: perché io, di sentire dei cavalli che mi spingono la schiena, ne ho bisogno come dell’aria che respiro.

Penso che non ci sia altro da aggiungere in merito: se parlate con qualcuno che davvero capisce di corse, tra i vari Senna, Fangio, Schumacher, Prost, vi inserirà anche Gilles Villeneuve dandogli una preferenza addirittura come miglior pilota di sempre. Non è eresia, è soltanto realtà.

Sul circuito di Zolder, l’8 maggio del 1982, nelle parte finale delle qualifiche la Ferrari 126C2 di Villeneuve arrivò al contatto con la March di Hass a velocità sostenuta facendo un volo di 25 metri; il tutto portò la vettura a schiantarsi sull’asfalto facendo sbalzare il povero canadese fuori dal suo abitacolo con il sedile ancora attaccato portandolo ad impattare il collo con uno dei paletti della rete metallica: trasportato in ospedale le sue condizioni erano già pressoché disperate tanto che la sua vita era tenuta in essere da macchine di respirazione artificiale le quali, vennero staccate su autorizzazione della famiglia, la sera stessa alle 21:12 ponendo fine alla vita del Campione della Ferrari e della Formula 1.

Oggi sono 36 primavere dalla sua scomparsa.

In sede di presentazione dell’articolo ho parlato di elementi in comune tra Collins e Villeneuve, e mi sono accorto di averne dimenticato uno: l’immortalità.

Perché le Leggende si fanno beffa della morte, e il loro Mito continuerà ad esser vivo per sempre viaggiando nel tempo e susseguendosi tra le generazioni diffondendo il pensiero, sempre più marcato, che la storia scritta indelebilmente non svanisce di certo con lo scorrere delle lancette.

A 24 anni dalla sua morte, il ricordo commosso del mito di Ayrton Senna

“Il senso della poesia però non sta nell’abbagliarci con un’idea sorprendente, ma nel rendere un istante dell’essere indimenticabile e degno di un’insostenibile nostalgia.”
(M. Kundera – L’immortale – 1990)

Ayrton Senna

Quando noti sul calendario che il giorno va a segnare la data del primo maggio, è praticamente impossibile non ricollegare il tutto alla figura di Ayrton Senna.

Una figura incredibile, di un uomo straordinario ed incredibilmente perbene con probabilmente una sete di vittoria praticamente unica nella storia dello sport in generale al pari di quella di Alì. Una figura immortale.

Senna è stato un esempio, uno stile di vita, un vizio per milioni di appassionati al di là della fede di appartenenza ad una scuderia di corse di Formula 1. Amarlo era la cosa più naturale del mondo per il suo stile di guida, per la sua classe, ma soprattutto per i pensieri che andava ad imprimere in ogni suo gesto in pista.

Parafrasando e prendendo in prestito alcune citazioni cinematografiche come quelle di pellicole come “Le parole che non ti ho detto” o ancora “L’ultimo Samurai”, quando vedevi il suo sguardo notavi  sì una persona semplice ericca di semplici tesori, che si è fatta da sola e che da sola aveva imparato da fare tutto, ma dentro scrutavi la voglia e la fame di vittoria facendo scatenare al momento del suo lavoro quel profondo mare di emozioni che coinvolgeva tutto il suo spirito, facendo partire il tutto dall’animo per poi finire la sua corsa dentro il cuore attraverso la spinta di indecifrabili emozioni di purissima caratura.

Erano due le corse che ogni volta Ayrton correva: quelle fuori in pista dove duellava con i suoi rivali dell’epoca, e quella dentro di se dove scatenava tutte le sue sensazioni attraverso un percorso spirituale che lo aiutava a rimanere concentrato. Sempre.

Le corse ed il pilota brasiliano erano un binomio assolutamente indissolubile, un amore indelebile di quelli che non puoi rompere, che non puoi spezzare neanche se ci si impegnasse nel profondo. Non c’è riuscita nemmeno la morte attraverso quel destino beffardo in quel caldo e triste di giorno di maggio al Gran Premio di San Marino quando, dopo Roland Ratzenberger nel giorno precedente, ha privato della vita questo straordinario fuoriclasse.

Tante nel corso della sua carriera le gesta indelebili da ricordare, d’altronde non potrebbe essere altrimenti quando vai a parlare di uno dei più grandi atleti della storia dello sport in generale, quando parli di uno degli Dei dell’Olimpo, ma è sempre piacevole andare agli albori di un mito e allora come non menzionare lo straordinario Gran Premio di Montecarlo del 1984 a bordo di quella Toleman sotto il diluvio universale dove mostrò tutto il suo talento da rookie chiudendo in secondo posizione alzando con orgoglio quel braccio in alto tra le gocce di pioggia chiudendo dietro ad Alain Prost come prologo di una di quelle che sarebbe stata La Rivalità per eccellenza nel mondo delle corse.

https://www.youtube.com/watch?v=ke92NqanQJs&t=162s

Oppure ancora, come non menzionare il probabilmente miglior giro di qualifica di sempre? Lo scenario sempre quello del prestigioso Principato monegasco luogo di lusso ma anche di cultura sportiva dove Senna aveva stabilito e aveva deciso che lì si sarebbero state ricordate le sue imprese più lucenti: l’anno il 1988 e la vettura la McLaren MP4-4 e il tempo che fece segnare fu il mitico 1’23’’998 che diede a tutti la sensazione che il pilota brasiliano andò al di là del tempo e dello spazio, dell’immaginazione e della realtà, la certezza più grande che avesse qualcosa in più di tutti sia del passato che del presente. Al termine di quelle prove lo stesso Ayrton Senna commentò in questo modo: “avevo già la pole position, ma continuavo a girare. Andavo, andavo, e improvvisamente ero circa 2 secondi più veloce di chiunque altro. Era come se stessi guidando solo d’istinto. Ero in un’altra dimensione, in una sorta di tunnel, ben oltre la mia comprensione e coscienza.

La gara non la concluse a causa di un ritiro, il mondiale lo portò a casa, e quel giorno fece capire al mondo che il futuro sarebbe stato un affare notevolmente suo alla voce Formula 1.

Un inarrivabile, un gigante, una Leggenda poi schizzata nel Mito. Una persona incredibilmente perbene che non ha mai dimenticato le sue origini e le difficoltà del suo paese, il Brasile, aiutando i meno abbienti ad avere una vita migliore senza sponsorizzare come solo i grandi fanno e facendo il tutto in maniera continua e silenziosa. Ancora oggi con la sua Fondazione curata da sua sorella, tantissime persone nutrono una speranza di un futuro migliore in Brasile e non solo.

Senna
“I ricchi non possono vivere su un’isola circondata da un oceano di povertà. Noi respiriamo tutti la stessa aria. Bisogna dare a tutti una possibilità.”

In quel drammatico weekend, non abbiamo perso soltanto due ragazzi di grande spessore ma anche due piloti rispettati e unici nel proprio genere i quali, seppure provenienti da prospettive e realtà differenti, guardavano l’amore verso le corse allo stesso modo, ossia attraverso gli stessi occhi di un bambino che osserva con estremo amore ciò di cui han bisogno più al mondo: la felicità. E quella di Roland e di Ayrton si traduceva nel correre.

Il nome di Ayrton Senna è legato non soltanto al mondo delle corse, ma anche della vita in generale. Una vita che lui amava moltissimo assieme alla famiglia sua tutta, e che ha incorniciato attraverso le sue gesta e le sua parole, giunti a noi sino ad oggi a testimonianza della grandezza e dello spessore oltre il fattore sportivo che lo hanno contraddistinto in vita e che lo contraddistingueranno sempre nel libro dei ricordi che, ogni volta, andiamo a sfogliare volentieri quando abbiamo voglia di commuoverci e allo stesso tempo fomentarci di gioia leggendo delle gesta del più grande di sempre.

Già, semplicemente più grande. Lo è stato durante la sua vita, lo sarà sempre.

Tolstoj diceva: “Come non credere nell’immortalità dell’anima, quando senti nell’animo una grandezza così smisurata

Tutto di estrema attualità in questo post, che parla di immortalità e di grandezza di un persona. Oggi in particolare, dove ricordiamo una di quelle grandi ed infinite, a 24 anni dalla sua morte il giorno dopo quella di Roland Ratzenberger ad Imola.

Obrigado Ayrton.

Senna Sempre.

Il ricordo di un pilota buono e perbene: Roland Ratzenberger

“La memoria è il diario che ciascuno di noi porta sempre con sé.” (O. Wilde)

Roland Ratzenberger

Vivere sul filo della passione lungo il circuito del sogno al fine di arrivare nel punto più alto possibile.

Quante volte abbiamo inserito questa frase nel contesto sportivo in modo da identificare la voglia di un atleta di migliorarsi giorno dopo giorno realizzando ciò che ama più al mondo? Tante volte. Alle volte talmente troppe che si corre il rischio di cadere nella monotonia. E’ anche retorico comporre quesiti di questo tipo.

Nelle storie come queste alle volte c’è il lieto fine, alle volte purtroppo no perché il destino o chi per lui mette la parole fine al romanzo della propria passione una maniera beffarda e tragica e questo, soprattutto nell’ambito motoristico del passato, è stato spesso l’epilogo di molte storie.

Oggi si parla di un uomo perbene che, al momento del suo arrivo in F1 dopo una vita a sognare l’arrivo in questa categoria, ha visto la sua esistenza spezzarsi inesorabilmente in quel maledetto fine settimana di Imola di 24 primavere fa.

Un uomo semplice, Roland Ratzenberger, ma determinato al punto di non arrendersi mai anche a 34 anni all’obiettivo di approdare nella categoria regina dell’ambito motoristico a 4 ruote, la Formula 1.

Una carriera che sin lì era stata contraddistinta dall’endurance con la partecipazione a ben cinque 24 ore di Le Mans, dalle formule nipponiche, e da altre categorie dove era riuscito a mettersi in evidenza sino a meritare la chiamata dalla Simtek nel 1994 per il primo Campionato del Mondo di F1 della sua vita.

Ed è stato proprio nel suo personale apice di Roland che avvenne il più tragico degli eventi nel corso delle qualifiche del Gran Premio di San Marino ad Imola il 30 aprile del 1994 quando, dopo l’ingresso alla curva intitolata a Gilles Villeneuve, l’alettone anteriore della sua monoposto si va a staccare facendo perdere al pilota austriaco il controllo della stessa per terminare la sua corsa contro un muro a più di 310 km/h; il povero Ratzenberger spirò dopo pochi minuti all’arrivo all’Ospedale Maggiore di Bologna a causa della frattura cranica rendendo inutili i tentativi di rianimarlo. Troppo grave l’incidente.

Di storie di piloti che han perso la vita nel corso della loro passione, soprattutto in passato quando le misure di sicurezza non erano al livello attuale ne abbiamo sentite purtroppo tantissime ma, quella di Roland in particolare in quel surreale weekend dove morì anche Ayrton Senna (Ne parleremo ovviamente domani del campione brasiliano) e rischiò tantissimo anche Rubens Barrichello, tocca davvero il cuore.

Tocca il cuore perché sai che arrivi dove hai sempre sognato e proprio sul più bello, ciò che volevi più al mondo ti tradisce e ti fa perdere tutto. Roland è stata una persona estremamente positiva; chi lo ha conosciuto e chi ha avuto modo di apprezzarlo durante tutta la sua carriera non solo in F1 può confermare il tutto perché ha sempre vissuto al massimo il suo mestiere cercando di raccogliere sempre il massimo di ciò che aveva seminato. Sempre.

Con umiltà. Con determinazione. Senza lasciarsi abbattere mai anche quando magari ci si aspettava risultati migliori. Un esempio, un modo di lavorare raro oramai nella proprietà di questo mondo.

Non ha mai mollato e ci ha messo nella sua voglia quel pizzico di spensieratezza che dovrebbe sempre contraddistinguere la vita di ognuno di noi in qualsiasi vicissitudine che andiamo ad affrontare. Con calma, giorno dopo giorno, passo dopo passo.

La cosa che dispiace maggiormente è che, la scomparsa di piloti come Roland forse perché non hanno avuto una parte da estremi protagonisti nel corso della loro vita motoristica a differenza di tanti indimenticati ed indimenticabili campioni leggendari, sia finita nel dimenticatoio.

E’ molto facile ricordare i successi e i trionfi, ma non bisogna mai scordare che le vare gare si realizzano soprattutto nelle zone arretrate, nelle bagarre più spietate dove i piloti con le loro vetture lottano per prendere una posizione, soprattutto in epoca passata dove magari le differenze tra le zone più arretrate erano minori. E il tutto può benissimo confermarlo qualunque plurititolato di qualsiasi categoria.

Peccato non reperire tantissimo materiale su Roland, perché la gente avrebbe modo di prendere contatto con un pilota notevole, di grande spessore tecnico in grado di capire il funzionamento della vettura e di dare una grandissima mano al set-up della stessa per migliorarla e farla progredire. Dote non da tutti.

Lotte infinite, emozionanti, che spesso finiscono nel modo più tragico. Ed è ancora più triste pensare che, più il tempo passa, più non ci si ricordi di essi.

Ma ci sono delle eccezioni, perché il talento e la considerazione di aver fatto solo del bene nel corso della propria vita (E carriera naturalmente), sono i fatti più importanti che non possono essere messi in discussione in quanto griffati all’interno della storia con un inchiostro indelebile. Che non passa e non passerà mai.

Esattamente come il dolore della morte.

Oggi sono 24 anni, ma da queste parti non dimentica nessuno.

Un pensiero estremamente commosso, per Roland Ratzenberger.

C’è stato un tempo in cui correva Michele Alboreto

18 anni fa se ne andava il pilota milanese in un tragico incidente a Klettwitz

Alboreto

C’è stato un tempo in cui guidare era paragonabile a volare nel più celestiale dei sogni.

Con i rumori dei propulsori anni 80 che tanto facevano sognare tifosi ed appassionati come se stessero suonando delle sinfonie sotto rivestimento sportivo di autentici compositori del passato più lontano.

Autentico, come il talento dei protagonisti in pista, spesso sfortunati, ma che hanno reso grande non solo lo sport ma la memoria di tanta gente che si era affezionati a questi piccoli grandi uomini a bordo di telai su 4 ruote con un solo posto.

Tempi lontani, quasi pionieristici, dove la differenza vera la faceva il “manico” del pilota più che una vettura all’epoca priva di elettronica varia e riempita sino all’orlo del talento di chi riusciva a governarla, a domarla.

Tempi in cui c’era un ragazzo italiano, classe 1956 nativo di Milano, che con la più pura e adrenalinica passione per le gare non si è mai tirato indietro a nessuna sfida. A nessuna curva, a nessun confronto.

Una passione che, purtroppo, ce lo ha portato via fin troppo presto facendo quello che più amava realizzare, ossia costruire sogni e successi. Un campione d’altri tempi che non si è limitato solo ad analizzare il mondo delle corse ma a studiarlo anche al limite della filosofia inglobandola totalmente nel profondo del suo animo.

Uno che una volta disse che “bisogna approfittare di ogni occasione, perché non sappiamo se ci sarà un’altra possibilità” facendo di questo aforisma un mantra della sua professione e della sua immensa classe tanto lucente quanto rara al giorno d’oggi.

Tempi in cui mettevi la tuta, il casco, entravi in abitacolo e partivi. Sognavi. Senza tanti fronzoli senza tante chissà quali tattiche, senza molti calcoli… A parte quello di spingere al massimo i brividi lungo la schiena come se fossero dei cavalli tali da spingerti il più velocemente possibile.

E questo era uno di quei ragazzi dell’allegro gruppo degli anni 80′ e 90′, amato da tutti e rispettato enormemente per il suo senso di dedizione al suo lavoro e per l’educazione che in ogni occasione ci ha messo dentro e fuori ogni circuito.

Una persona semplice che, della semplicità, ha fatto costituire la chiave dei suoi successi e della sua grandezza che lo ha portato lontano e che nell’immaginario collettivo è riuscito ad imprimere un ricordo indelebile per ciò che è riuscito a scrivere nel corso del tempo e della sua storia.

Un ragazzo d’oro che amava la musica non soltanto motoristica ma anche quella effettiva, che adorava il blues e che praticava lo sci.

C’è stato un tempo solo per la semplicità e per l’enorme grandezza interiore e non solo.

C’è stato un tempo solo per gli eroi.

C’è stato un tempo in cui, c’era Michele Alboreto.

18 anni senza lui.

Ricordando un angelo di nome Elio

“Il ricordo è il tessuto dell’identità.”
(N. Mandela)

Elio De Angelis

La foto è in bianco e nero ma il ricordo è a colori, ed è più vivo che mai.

C’è poco da fare, è la prerogativa delle persone speciali: quando si è parte di quella ristretta cerchia di persone, non puoi far altro che abbandonarti e rassegnarti ad essere considerato una fonte di lucentezza al di là del lavoro e delle imprese che compri.

Si, perché attraverso la gentilezza e l’essere garbato oltre che perbene si entra direttamente nel cuore prima e nella memoria delle persone che hanno avuto modo di conoscerti e di apprezzare nella totale interezza le tue qualità. Già, le qualità, quelle che Elio possedeva in abbondanza e che lo hanno spedito sempre in memorie uniche esattamente come la sua persona.

Elio De Angelis è andato via quasi 32 anni fa, in un modo purtroppo tanto doloroso quanto spesso tristemente comune nel mondo dei motori, mentre svolgeva quello che amava di più, mentre correva, tentando di inseguire un altro sogno e mettendo le basi per le future vittorie lasciando un vuoto incolmabile nel mondo delle corse e non solo in quel tragico 14 maggio del 1986 durante una sessione di test privati 14 maggio, durante una sessione di prove private sul circuito Paul Ricard a Le Castellet in Francia a bordo della sua Brabham BT55 con la quale non era riuscito mai a trovare il feeling da inizio campionato.

Pilota all’antica d’altri tempi, sempre disponibile con tutti, ha fatto dell’eleganza  uno stile di guida invidiato da molti e abbastanza raro da vedersi anche al giorno d’oggi: preciso, leale, corretto, in pista come nella vita.

Chi ha vissuto quel periodo quando si era ancora abbastanza fanciulli, il gioco più ricorrente da farsi regalare durante le festività era la mitica pista elettrica da comporre con le monoposto che sfrecciavano dentro, come quelle della Polistil: tra queste come dimenticare quella piccolissima Lotus nera con dentro il pilota con il casco bianco? Quello di Elio.

Già dalla fine degli anni 70′, Elio De Angelis fece parlare di se conquistando il titolo di Campione nazionale di Formula 3 nel 1977; l’esordio nell’olimpico motoristico in Formula 1 avvenne nel Gran Premio d’Argentina, con la Shadow nel 1979 con la mitica DN9. Nel 1980 il passaggio alla Lotus, alla corte di Colin Chapman, che stravedeva per lui, con la quale ottenne le uniche sue vittorie, al Gran Premio d’Austria 1982 e al Gran Premio di San Marino 1985. Il suo compagno di squadra fu per un pò d’anni il grande Ayrton Senna.

Altri tempi, altro mondo, altre persone, altre dimensioni dove c’era ancora lo spazio per la correttezza e per quel mordente che ancora e ancora una volta ti permettevano di sognare e di vivere la tua vita con meno frenesia e più tranquillità; una vita più semplice dove con poco si aveva molto, un’esistenza alle volte raccontata attraverso momenti sportivi dove la parte da leone lo svolgeva l’incanto che suscitavano alcuni grandi uomini quale Elio era che portavano spesso i colori dell’Italia in altro a suono di belle prestazioni dando lustro al tutto.

Amato e voluto bene da tutti, dimenticato da nessuno. Jean Alesi gli rese omaggio riprendendo i colori e i disegni del suo casco utilizzandoli per tutta la sua carriera in F1. Keke Rosberg, tra i suoi amici nel paddock, disse di lui: “era un pilota raffinato, mentre noi eravamo tutti molto rozzi.”

Purtroppo, troppo spesso, il destino si rivela fin troppo cattivo privandoci sia della presenza che delle imprese di persone come Elio le quali, al di là del fattore sportivo, ha lasciato un vuoto incredibile all’interno delle vite di tutti coloro che han avuto il privilegio di conoscerlo; ma lo stesso destino non riuscirà mai a deletare il ricordo di qualcuno che, sigillando il tempo e la memoria dentro esso di un uomo e di un pilota meraviglioso, ha conquistato il gran premio più bello e più inestimabile dal punto di vista del valore.

Come disse in un servizio il grande Ezio Zermiani poco dopo la sua morte, ci congediamo con questo post in silenzio, non disturbandolo.

Elio sta sognando.

Ancora.

Un Supereroe dal nome Michael Schumacher

Quando il mito confina nella leggenda e rende immortali le imprese di uomini straordinari nel nome dello sport

Schumacher

E’ difficile per chi vi scrive parlare oggi di Michael Schumacher.

E’ perennemente difficile perché immaginarlo in condizioni diverse da quelle gioiose in pista è una cosa del tutto impossibile. Alle volte ci penso, e mi chiedo se tutto questo sia un brutto sogno.

Un sogno talmente brutto quanto il silenzio di tutti questi anni. Come se si fosse chiusa una finestra dopo decadi rumorose di emozioni, lacrime, e successi che nessun evento potrà mai cancellare.

Alle volte il tempo ha il triste difetto di cancellare dalla memoria i ricordi di tante cose ma, per fortuna, ce ne sono alcune che non vanno via nemmeno con il passare dei secoli semplicemente perché il il modo in cui sono state scritte come in questo caso, le ha rese semplicemente immortali.

Michael. Già ti si riempie il cuore ad associare questo nome ai motori.

La persona più forte che ci sia mai stata. Io lo ricordo così dentro l’abitacolo e sul podio con quel sorriso inebriante che rendeva magica quasi ogni domenica tingendola di rosso.
La vita spesso ci fa dei regali attraverso le gesta di alcune persone, anche sportivi lontani, cui è nostro dovere custodirle nel profondo del cuore tingendole della copertina che più abbiamo amato nel corso del tempo attraverso l’immagine più bella; una vita che troppo spesso poi va a diventare beffarda applicando un destino fin troppo severo nei confronti di qualcuno che ha reso la stessa migliore.

Pensando a cosa avrei voluto scrivere nel primo post non invernale all’interno di questo blog, nel mio spazio appunti mi è saltata fuori una lettera che poco tempo dopo il suo incidente, in occasione del suo compleanno, avevo scritto nei suoi confronti; ho immaginato che sarebbe stato bello conservarla qui inaugurando un nuovo ciclo di scrittura sportiva attraverso il mio atleta preferito di sempre.

Schumacher

A te campione:

“Auguri Michael.

Questa volta lo dico io grazie. Grazie per una serie incredibile di motivi, incredibile, come te uomo tanto lontano quanto vicino.

Non riesco ad immaginare che in un letto immobile adesso ci sia tu. E’ difficile tirare fuori le parole, però si può introdurre il tutto attribuendotene una: grazie.

Sì, grazie. Grazie per quella mattina alle ore sette e trentatré minuti, quando avevo 14 anni e la febbre a 38 e un’iniezione di papà per farmi stare meglio mentre nella piccola tv c’era Rai2 e c’eri tu inseguito da Mika Hakkinen, che battevi continuamente i palmi delle tue mani al volante perché 21 anni dopo Jody Schekter avevi riportato i colori dell’arcobaleno sulle insegne del Cavallino Rampante.

Grazie per avermi fatto rispondere da piccolo alla domanda <<che cosa vuoi far da grande>>, “voglio essere come Michael Schumacher”.

Grazie per quelle innumerevoli mattine al gran premio d’Australia per le 2 di notte, non lo avrei fatto per nessuno, solo per te.

Grazie per quel pugno alzato 2 curve prima della bandiera a scacchi a Barcelona nel 1996 sotto la pioggia.

Grazie per il primo cappellino Dekra lanciato a Monza nel 1996 guidando una vettura dannatamente complicata e non perfettamente riuscita.

Grazie per Spa nel 1996 quando passasti Villeneuve con un incrocio al volante prima dell’Eau Rouge che mai avevo visto.

Grazie per essere stato assieme a Roberto Baggio il mio primo idolo sportivo.

Grazie per le innumerevoli domeniche da bambino con mio papà con quel salto sul gradino più alto del podio.

Grazie per tutti quegli anni dove non abbiamo vinto ma dove abbiamo semplicemente sognato per quel tedeschino che batteva forte tutti quanti e anche il vento.

Grazie per aver preso quasi a calci nel sedere Coulthard a Spa.

Grazie per quei 3 giri da paura nel 1998 da qualifica in gara consecutiva dove hai praticamente fermato il tempo a Budapest.

Grazie per avermi fatto capire che nella vita si sbaglia anche a certi livelli chiedendo scusa, come a Jerez nel 1998.

Grazie per quel saluto dietro una tendina di soccorso per dirci che stavi bene dopo il botto di Silverstone.

Grazie per le parrucche rosse dopo il mondiale del 2001.

Grazie per il 2002. Grazie per il 2003. Grazie per il 2004. Grazie per il 2005.

Grazie per Monza 2006 che solo chi c’era, può capire.

Grazie per l’ultima gara a Suzuka nel 2006 dove hai corso da Leggenda partendo dal fondo arrivando quarto.

Grazie ancora perché tra gli alieni sei stato il più umano.

Grazie per le lacrime davanti a un televisore in tante occasioni.

Grazie per esserci stato nel sorpasso di Mika Hakkinen con Zonta.

Grazie per aver parlato alla macchina dicendo di resistere quando c’era qualche problema. Grazie per averla baciata dopo ogni vittoria.

Grazie per essere stato una parte indelebile della mia infanzia oltre a considerarti uno di famiglia.

Grazie per avermi fatto dire “no grazie” a tanti impegni perché c’eri tu su Raiuno.

Grazie ancora per Suzuka 2000, tolto il casco, c’eri tu a piangere su Jean Todt.

Grazie perché dietro un cognome così apparentemente cattivo c’è un cuore grande quanto l’Universo intero.

Grazie per quel giro finale a Monza a fine stagione nel 2006 e i pianti a dirotto con tutto il box e muretto, perché era l’ultima volta a bordo del tuo amore rosso.

Grazie per le lacrime di Corinna a ogni finale di Mondiale sotto lo champagne.

Grazie perché meritavamo un grande uomo come te.

Grazie per essere tornato su Mercedes, anche se è stato un piccolo dolore.

Grazie per l’ultima pole a Monaco qualche anno fa dove mi facesti tornare bambino per un attimo.

Grazie per i poster. Grazie per i sorrisi. Grazie perché se la nostra squadra del cuore di calcio steccava c’eri tu sempre più in alto di tutti.

Grazie perché ogni tuo giro era come una pennellata di Monet. Grazie perché se pioveva tu eri il Re della Pioggia, e sotto un piccolo giubbotto di piumino chiudevo gli occhi e mi immaginavo sotto quel casco che portava i colori rossi nostri e della tua Germania.

Grazie per esser la persona più vicina a Superman nella vita.

Grazie per quel giorno a Torino con Marcello Lippi e con la Juventus.

Grazie per i brividi lungo la schiena. Perché guidando era come se parlassi nello stesso istante a milioni di persone nel mondo.

Grazie per quel bizzarro spot nel 2000 sulla Fiat Multipla, che se non fosse stato per te, non avrei fatto di tutto per farla comprare a papà, e ora, quando la guido, il pensiero vola spesso verso te.

Grazie di tutto, ma non rende l’idea.

Le 91 vittorie non sono niente, serve la 92ma.

Come disse qualcuno, “per te ci siam svegliati tante mattine, ora tocca a te farlo.””