
“Eravamo trentaquattro, adesso non ci siamo più, e seduto in questo banco ci sei tu… Era l’anno dei Mondiali quelli dell’86, Paolo Rossi era un ragazzo come noi.”
C’è stato un periodo nel corso della nostra vita, un periodo che chi non l’ha vissuto guarda con straordinario senso di invidia nei confronti di coloro che invece l’hanno visto scorrere eccome sulla propria pelle, dove determinati Uomini con la U maiuscola sono stati in grado di realizzare delle grandi imprese fuori dall’ordinario dando contestualmente la sensazione prima e la certezza poi che chiunque potesse raggiungere determinate vette colme di gloria, orgoglio, e successo: Paolo Rossi in questo, è stato uno dei più grandi simboli di ogni tempo.
Oggi vediamo autentici campioni, fuoriclasse, vincere e continuare a mietere successi rimanendo però all’interno di una bolla, inavvicinabili se non tramite qualche messaggio sullo screen di un computer, una sorta di entità. In passato invece tutto questo non esisteva, ci stava più condivisione con tutte le persone comuni e i successi saliti alla ribalta non erano altro che l’ultimo tassello di un mosaico meraviglioso dove chiunque era una parte fondamentale nel perseguimento del successo: Paolo, come cantava Venditti in uno straordinario e nostalgico pezzo sull’età giovanile, era davvero un ragazzo come noi.
Un ragazzo che ha dato la convinzione che chiunque creda nei propri sogni possa davvero raggiungerli nel più semplice dei modi: un crederci mescolato alla cultura della passione unita al proprio lavoro, con umiltà e semplicità. Una ricetta semplice per raggiungere l’obiettivo che non era singolo, come può essere ora, ma collettivo: Paolo Rossi è stato un campione, e permettetemi di dire quanto sia complicato già parlare al passato, unico e immenso nella sua generosità che forse soltanto ora ci sembra così grande. Ha creduto sempre nelle sue potenzialità, nelle sue forze, ed è diventato un simbolo per intere generazioni, una in particolare quella del Mondiale del 1982, dove in poche settimane mise in ginocchio in un piccolo spazio come l’area di rigore, nazionali che portavano in dote gente come Maradona, Socrates, Falcao, Zico, Boniek, Muller, regalando all’Italia un sogno che mancava dai lontani anni del Maestro Pozzo.
Quando nessuno più credeva in Paolo Rossi, a cambiare il corso degli eventi ci ha pensato la sua forza di volontà in primis certo che poteva ancora dire molto per la sua vita professionale, la Juventus poi che ha creduto in lui rilanciandolo alla grande, e Bearzot successivamente a portarlo in Spagna a comporre una sinfonia dolce che rimarrà per chiunque un pezzo d’arte da esibire nella galleria più prestigiosa dei nostri cuori che ci menziona le gesta di un uomo che ha regalato all’Italia una soddisfazione immensa in uno dei periodi più complessi di sempre.
Paolo Rossi è stato un artista su un campo verde dove mentre calciava un pallone, andava a costituire una serie di opere d’arte costellate dai successi più belli che chiunque potesse immaginare in un ambito sportivo. Avete presente quando si dice che lo sport spesso, va a travalicare il suo ambito sfociando in qualcosa di più? In qualcosa di immensamente più grande? Ecco, Paolo ha fatto questo. Quella maglia azzurra sempre onorata con passione e dedizione portata sul tetto del Mondo, con la maglia del Vicenza e del Perugia che lo hanno lanciato nel calcio che contava, soprattutto con quella magica maglia a tinte bianconere con la scritta Ariston come sponsor, simbolo del periodo più glorioso della Signora del calcio italiano, quella Juventus da lui amata e presa per mano come un cavaliere conducendola nelle più poetica delle danze, tra serate di Coppa, tra tanti scudetti, tra poche delusioni e tante immense soddisfazioni sia in fredde sere d’inverno, che in caldi pomeriggio di primavera. Splendeva sempre la sua luce.
La luce di un ragazzo come noi, che quando segnava alzava entrambe le braccia al cielo fermando il tempo e squarciando il nostro animo di emozioni al gonfiarsi di una rete dopo un gesto tecnico da lui mai banale, spesso frutto di opportunismo e di una infinita classe e velocità tipica di un ragazzo che ha sempre portato sulle spalle la sua valigia di sogni e che l’ha condivisa con milioni di persone che lo hanno amato. Quella valigia che lo ha contraddistinto come un attaccante straordinario, letale in aria di rigore, tecnico come pochi, come una velocità sopraffina in grado di punire le difese avversarie nel più incredibile ed imprevedibile dei modi. Zoff, Gentile, Cabrini, Scirea, Brio, Tardelli, Bonini, Tardelli, Platini, Bettega, Rossi, Boniek. Non era una formazione, ma una poesia che metteva in campo Giovanni Trapattoni e di cui Paolo è stato una chiave di volta per un ingranaggio unico. Irripetibile per talento e unicità.
Senza scadere tanto nella retorica, chi vi scrive è assolutamente d’accordo con chi dice che come Maradona, Paolo Rossi non muore. Non muore mai, perché Paolorossi tutto attaccato è di tutti, è un patrimonio del corso delle emozioni di chi lo ha amato e voluto bene. E continuerà a far sognare in eterno perché taluni gesti tecnici non si dissolvono nel corso della storia, ma rimangono impressi in eterno perché formano la stessa e non verranno mai cancellati dal percorso di una lancetta al polso.
Caro Paolo, hai reso grande il sogno di tante persone. Più grande ancora. E il dolore della tua scomparsa sarà difficile da accettare per la persona buona che sei stato e per l’affetto che hai saputo donare a chi ti ha amato e voluto bene e per tutto ciò che ci hai gentilmente concesso di ammirare attraverso la corsa delle tue gamba e il calcio ad una sfera tramite i tuoi piedi magici. Alzando quelle braccia al cielo, a prescindere dal colore, sei stato un tutt’uno con ogni appassionato in ogni partita, dando la certezza che non eri uno dei tanti, eri qualcosa di più.
Eri un ragazzo come noi.
Giovanni Platania. Blogger sportivo, laureato in legge, appassionato di sport soprattutto invernali. Una frase su tutti, da inserire in questo “viaggio”:
“non leggete come fanno i bambini per divertirvi,o,come gli ambiziosi per istruirvi. No, leggete per vivere.”
(Gustave Flaubert)