L’emozione di un ragazzo di nome Charles

“Un vincitore è solitamente colui che riconosce i suoi talenti naturali, lavora sodo per svilupparli in capacità, ed usa queste capacità per raggiungere i suoi obiettivi.”

Chi disse queste parole è un certo Larry Bird il quale, alla voce talento, ne sapeva a pacchi, andando a scrivere “discrete” pagine di storia di sport in senso generale e di basket nello specifico.

Può sembrare alla lettura sin qui di questo articolo che si possa essere abbastanza in off-topic con la natura di questo portale il quale, come è noto oramai, è solito parlare di sport invernali e abbastanza inusuale d’altro sebbene spesso in passato lo si è fatto; però, chi vi scrive, ritiene che sia una cosa buona e giusta fare adesso un nuovo strappo alla regola per scrivere di un ragazzo, abbastanza speciale, che ha già conquistato tutti.

Anche perché sci e F1 li accomuna la velocità, chiatamente non quella raggiungibile da una vettura certamente, ma sempre di andar veloci si tratta, soprattutto in senso prettamente emozionale, dove il segno dello sport copre i nostri sguardi attraverso la fierezza e la magia in modalità autentica.

Charles dopo aver dominato le categorie giovanili e dopo un anno di apprendistato super positivo all’esordio in F1 con la Sauber, quest’anno in Ferrari sostituendo un certo Kimi Raikkonen (Che ha fatto il percorso inverso con la scuderia elvetica), è entrato sì in punta di piedi, ma con la determinazione e la tempra di un predestinato che soltanto i futuri grandi piloti sanno detenere nel proprio interno andando anche oltre le aspettative magari con spesso una vettura non all’altezza, stupendo anche chi magari pensava che il suo arrivo a Maranello, fosse piuttosto frettoloso.

Tra le tante qualità che possiede Leclerc vi è la capacità di saper emozionare oltre l’ovvio stringendo tra le mani un volante di un bolide che cammina oltre i 320 orari; oltre l’ovvio significa quella sensazione che spesso nei talenti più puri si trasforma in certezza, di poter andare oltre le proprie possibilità andando a sconfinare in regioni di supremazia non ancora conosciute e tutte ancora da esplorare; regioni che spesso nascondono glorie ed onori.

Se chiudessimo gli occhi troveremmo qui un puro sapore di romanticismo attraverso un ragazzo che ricorda uno sport d’altri tempi, dove non era presente tutta l’elettronica di oggi ed era tutto sulle spalle del pilota, magari con una manetta del cambio vicino all’ingresso della monoposto… Ora é un’altra cosa, ma il modo di interpretare i vari tracciati da parte di questo giovane monegasco, ci fa riassaporare tempi andati nelle lancette del tempo ma mai all’interno dei nostri animi facendoci pensare ad autentici campioni che, per il momento, non è per niente giusto menzionare.

La capacità di andare oltre, oltre ogni cosa. Con quel numero 16 che già ti identifica e che ti “veste” alla stessa stregua di un abito elegante sfoderabile durante una cerimonia solenne per le grandi occasioni.

Lo hai fatto anche ieri, vincendo la tua prima gara nella massima serie della tua carriera in una giornata abbastanza difficile, il giorno dopo la tragedia che ha tolto la vita a un tuo amico, reagendo al dolore e al dispiacere guidando come un fuoriclasse dentro e fuori; resistendo alla rimonta di uno dei primi 5 piloti più forti di tutti i tempi, mantenendo saldo il controllo dell’attimo, con la consapevolezza che il momento era davvero quello buono, ed è stato così, arrivando in un misto di gioia certamente, ma parimenti di profonda tristezza per l’incidente del sabato pomeriggio in F2. Sei andato oltre e hai fatto capire, ancora una volta, quanto speciale sei.

Già Charles, lo hai fatto soprattutto perché sei stato ancora una volta un guerriero in pista, e un Signore fuori. Perché sei un ragazzo semplice e pulito con tanta voglia di sognare come milioni di noi, perché hai la capacità già da ora di essere un esempio per una nuova generazione e non solo, attraverso quelle che sono le tue qualità umane e che sprigioni quando cali la visiera del tuo casco.

Hai fatto riprendere a molti di noi vecchi moleskine, dove magari abbiamo segnato da piccini gioie e lacrime per una rossa e che avevamo accantonato da tempo, e ce lo hai rimesso in mano per rimettere dentro il tuo nome consapevole che, questo gesto certamente, lo ripeteremo più e più volte in questi anni.

Non sappiamo cosa ci riserverà il futuro, quel che è certo però è che esso é davvero tuo e alzando gli occhi stasera tristi al cielo, tuo padre, Antoine, e Jules saranno orgogliosi di te e di ciò che scriverai nel grande libro dello sport.

Bravo piccolo campione, ieri hai messo il primo mattoncino in un presente dove le luci della ribalta per adesso son puntate verso altri, ma devi essere tranquillo e sopportare le pressioni, perché andrai ad intraprendere un viaggio nel corso di un tempo magico ed unico che ti crescerà assieme alla tua forza, e che ti riferisce attualmente che il meglio deve ancora venire, perché il tuo nome ed è già scritto, e presto andrà a compiersi nel più prestigioso firmamento delle stelle del libro dello sport mediante quel 16 che ha già il sapore di una storia già ricca di brividi corsi lungo la schiena.

Nel nome della leggenda: Gilles Villeneuve

« Lo chiamano Circo della Formula 1 e proprio come un circo si sposta di città in città, issa la sua tenda e fa spettacolo. Tra giochi di magie, belve e domatori il divertimento è sempre assicurato, così come il brivido che offrono gli artisti più spericolati quando tocca a loro salire sul filo teso nel vuoto e danzare. Nell’estate del 1977 tra le tende della Formula 1 si affacciò un pilota dallo sguardo dolce e dal cuore impavido, salì sul filo con la sua Ferrari e per cinque anni lo percorse fra capriole e piroette. Poi un giorno scese ed entrò nella leggenda… »
(da Sfide,  – Gli anni di Gilles Villeneuve, 2002)

Gilles Villeneuve

Quando si parla di Gilles Villeneuve mi è solito fare un parallelismo con un altro grande pilota del passato: Peter Collins.

Nel bene e nel male Collins e Villeneuve hanno avuto in comune seppur in epoche temporali differenti, tantissime cose: entrambi hanno corso per Maranello, sono stati grandi piloti di estremo talento nonostante il fato non gli abbia concesso di vincere un Campionato del Mondo (Sebbene Collins fece un gesto di grande cavalleria nei confronti di Fangio nel 1956 quando, dopo il guasto meccanico che coinvolse quest’ultimo, cedette all’argentino la propria vettura consentendogli di vincere l’iride), perirono entrambi  in pista in stagione in corso in vicissitudine a dir poco dolorose e drammatiche, e sono stati i pupilli più grandi che abbia mai avuto Enzo Ferrari.

Si disquisisce sempre se, all’interno di una famiglia numerosa, ci siano delle persone cui si voglia più bene rispetto alle altre soprattutto in ambito sportivo e, in particolare, in epoca passata quando tutto magari era molto più semplice e il romanticismo spesso nelle gare motoristiche era piuttosto diffuso.

Per Enzo Ferrari Collins ha rappresentato una vera e propria passione, anche personale visto il rapporto che lo coinvolse con il povero figlio Dino scomparso prematuramente, ma con Gilles… Con Gilles era tutto diverso. Villeneuve con Enzo Ferrari diede vita ad un binomio incredibile di passione, gioia, e assoluto coinvolgimento nel tifo sportivo.

« Il mio passato è pieno di dolore e di tristi ricordi: mio padre, mia madre, mio fratello e mio figlio. Ora quando mi guardo indietro vedo tutti quelli che ho amato. E tra loro vi è anche questo grande uomo, Gilles Villeneuve. Io gli volevo bene. »

Gilles Villeneuve in abitacolo
Gilles Villeneuve in abitacolo

Gli voleva davvero bene perché, per la prima volta, al di là del lato umano aveva visto un uomo che sapesse guidare esattamente la sua Ferrari come voleva: con sfrontatezza, genuinità, brutalità, e senso di totale appartenenza sin dal momento dell’ingresso in abitacolo.

E’ raro trovare qualcuno che diventi un tutt’uno non solo con la macchina ma anche con il mito cui è emblema la Scuderia Ferrari. Lui invece era l’eccezione che confermava la regola: era l’uomo giusto al posto giusto e l’unica cosa che lo poteva fermare, a parte spesso la sua irruenza un pò troppo fuori le righe in pista, fu un maledetto fato.

Poche storie, il canadese era davvero un grande. Un gigante della guida come NESSUNO. Nessuno mai si è avvicinato al suo stile di guida, alla sua tenacia, e alla sua voglia di vincere sempre e comunque. Non ha mai risparmiato un minimo rischio, non ha mai gestito, per lui esisteva solo ed esclusivamente la vittoria e nulla importava se per portarla a casa si metteva a repentaglio il lavoro magari di un weekend e di una serie di mesi.

Villeneuve ha portato la spettacolarità in un ambiente, quello della Formula 1, laddove fin troppo spesso (E soprattutto oggi…) si dà troppo spazio a calcoli, ragionamenti, e gestioni. Sono tanti gli avvenimenti che risalgono all’occhio quando si parla del fuoriclasse di Saint-Jean-sur-Richelieu, una cittadina del Québec in Canada: arrivi al traguardo su tre ruote, alettoni rotti e continuo di gara come se niente fossi, coraggio da vendere in sfide con avversari dotati di vetture magari più performanti tenendogli testa, e tante indelebili immagini gelosamente custodite nei libri della memoria degli appassionati: immortale il duello con Arnoux per la seconda piazza nel 1979 al gran premio di Francia, con un ruota a ruota straordinario che è entrato nella storia delle corse e che, probabilmente, è stato il duello più entusiasmante della storia.

Un uomo buono, che amava la sua famiglia, un pilota straordinario che ha scritto pagine importantissime nella storia delle corse sebbene non sia impresso il suo nome nell’albo d’oro (Ci riuscirà molti anni dopo suo figlio, nel 1996 Jacques, a bordo della Williams dopo una stagione ricca di duelli sino a Jerez con Michael Schumacher), a dimostrazione che spesso nello sport l’alloro non è la conditio sine qua non per l’ingresso nella sala dei campioni di ogni tempo.

Un uomo anche molto riflessivo fuori dalla pista, a testimonianza di numerosi aforismi che oggi arricchiscono tantissimi articoli a sua memoria; tra questi ve ne è uno che fa capire la passione e la dedizione completa che dava quest’uomo al suo lavoro, che diceva: “se mi vogliono sono così, di certo non posso cambiare: perché io, di sentire dei cavalli che mi spingono la schiena, ne ho bisogno come dell’aria che respiro.

Penso che non ci sia altro da aggiungere in merito: se parlate con qualcuno che davvero capisce di corse, tra i vari Senna, Fangio, Schumacher, Prost, vi inserirà anche Gilles Villeneuve dandogli una preferenza addirittura come miglior pilota di sempre. Non è eresia, è soltanto realtà.

Sul circuito di Zolder, l’8 maggio del 1982, nelle parte finale delle qualifiche la Ferrari 126C2 di Villeneuve arrivò al contatto con la March di Hass a velocità sostenuta facendo un volo di 25 metri; il tutto portò la vettura a schiantarsi sull’asfalto facendo sbalzare il povero canadese fuori dal suo abitacolo con il sedile ancora attaccato portandolo ad impattare il collo con uno dei paletti della rete metallica: trasportato in ospedale le sue condizioni erano già pressoché disperate tanto che la sua vita era tenuta in essere da macchine di respirazione artificiale le quali, vennero staccate su autorizzazione della famiglia, la sera stessa alle 21:12 ponendo fine alla vita del Campione della Ferrari e della Formula 1.

Oggi sono 36 primavere dalla sua scomparsa.

In sede di presentazione dell’articolo ho parlato di elementi in comune tra Collins e Villeneuve, e mi sono accorto di averne dimenticato uno: l’immortalità.

Perché le Leggende si fanno beffa della morte, e il loro Mito continuerà ad esser vivo per sempre viaggiando nel tempo e susseguendosi tra le generazioni diffondendo il pensiero, sempre più marcato, che la storia scritta indelebilmente non svanisce di certo con lo scorrere delle lancette.