A 24 anni dalla sua morte, il ricordo commosso del mito di Ayrton Senna

“Il senso della poesia però non sta nell’abbagliarci con un’idea sorprendente, ma nel rendere un istante dell’essere indimenticabile e degno di un’insostenibile nostalgia.”
(M. Kundera – L’immortale – 1990)

Ayrton Senna

Quando noti sul calendario che il giorno va a segnare la data del primo maggio, è praticamente impossibile non ricollegare il tutto alla figura di Ayrton Senna.

Una figura incredibile, di un uomo straordinario ed incredibilmente perbene con probabilmente una sete di vittoria praticamente unica nella storia dello sport in generale al pari di quella di Alì. Una figura immortale.

Senna è stato un esempio, uno stile di vita, un vizio per milioni di appassionati al di là della fede di appartenenza ad una scuderia di corse di Formula 1. Amarlo era la cosa più naturale del mondo per il suo stile di guida, per la sua classe, ma soprattutto per i pensieri che andava ad imprimere in ogni suo gesto in pista.

Parafrasando e prendendo in prestito alcune citazioni cinematografiche come quelle di pellicole come “Le parole che non ti ho detto” o ancora “L’ultimo Samurai”, quando vedevi il suo sguardo notavi  sì una persona semplice ericca di semplici tesori, che si è fatta da sola e che da sola aveva imparato da fare tutto, ma dentro scrutavi la voglia e la fame di vittoria facendo scatenare al momento del suo lavoro quel profondo mare di emozioni che coinvolgeva tutto il suo spirito, facendo partire il tutto dall’animo per poi finire la sua corsa dentro il cuore attraverso la spinta di indecifrabili emozioni di purissima caratura.

Erano due le corse che ogni volta Ayrton correva: quelle fuori in pista dove duellava con i suoi rivali dell’epoca, e quella dentro di se dove scatenava tutte le sue sensazioni attraverso un percorso spirituale che lo aiutava a rimanere concentrato. Sempre.

Le corse ed il pilota brasiliano erano un binomio assolutamente indissolubile, un amore indelebile di quelli che non puoi rompere, che non puoi spezzare neanche se ci si impegnasse nel profondo. Non c’è riuscita nemmeno la morte attraverso quel destino beffardo in quel caldo e triste di giorno di maggio al Gran Premio di San Marino quando, dopo Roland Ratzenberger nel giorno precedente, ha privato della vita questo straordinario fuoriclasse.

Tante nel corso della sua carriera le gesta indelebili da ricordare, d’altronde non potrebbe essere altrimenti quando vai a parlare di uno dei più grandi atleti della storia dello sport in generale, quando parli di uno degli Dei dell’Olimpo, ma è sempre piacevole andare agli albori di un mito e allora come non menzionare lo straordinario Gran Premio di Montecarlo del 1984 a bordo di quella Toleman sotto il diluvio universale dove mostrò tutto il suo talento da rookie chiudendo in secondo posizione alzando con orgoglio quel braccio in alto tra le gocce di pioggia chiudendo dietro ad Alain Prost come prologo di una di quelle che sarebbe stata La Rivalità per eccellenza nel mondo delle corse.

https://www.youtube.com/watch?v=ke92NqanQJs&t=162s

Oppure ancora, come non menzionare il probabilmente miglior giro di qualifica di sempre? Lo scenario sempre quello del prestigioso Principato monegasco luogo di lusso ma anche di cultura sportiva dove Senna aveva stabilito e aveva deciso che lì si sarebbero state ricordate le sue imprese più lucenti: l’anno il 1988 e la vettura la McLaren MP4-4 e il tempo che fece segnare fu il mitico 1’23’’998 che diede a tutti la sensazione che il pilota brasiliano andò al di là del tempo e dello spazio, dell’immaginazione e della realtà, la certezza più grande che avesse qualcosa in più di tutti sia del passato che del presente. Al termine di quelle prove lo stesso Ayrton Senna commentò in questo modo: “avevo già la pole position, ma continuavo a girare. Andavo, andavo, e improvvisamente ero circa 2 secondi più veloce di chiunque altro. Era come se stessi guidando solo d’istinto. Ero in un’altra dimensione, in una sorta di tunnel, ben oltre la mia comprensione e coscienza.

La gara non la concluse a causa di un ritiro, il mondiale lo portò a casa, e quel giorno fece capire al mondo che il futuro sarebbe stato un affare notevolmente suo alla voce Formula 1.

Un inarrivabile, un gigante, una Leggenda poi schizzata nel Mito. Una persona incredibilmente perbene che non ha mai dimenticato le sue origini e le difficoltà del suo paese, il Brasile, aiutando i meno abbienti ad avere una vita migliore senza sponsorizzare come solo i grandi fanno e facendo il tutto in maniera continua e silenziosa. Ancora oggi con la sua Fondazione curata da sua sorella, tantissime persone nutrono una speranza di un futuro migliore in Brasile e non solo.

Senna
“I ricchi non possono vivere su un’isola circondata da un oceano di povertà. Noi respiriamo tutti la stessa aria. Bisogna dare a tutti una possibilità.”

In quel drammatico weekend, non abbiamo perso soltanto due ragazzi di grande spessore ma anche due piloti rispettati e unici nel proprio genere i quali, seppure provenienti da prospettive e realtà differenti, guardavano l’amore verso le corse allo stesso modo, ossia attraverso gli stessi occhi di un bambino che osserva con estremo amore ciò di cui han bisogno più al mondo: la felicità. E quella di Roland e di Ayrton si traduceva nel correre.

Il nome di Ayrton Senna è legato non soltanto al mondo delle corse, ma anche della vita in generale. Una vita che lui amava moltissimo assieme alla famiglia sua tutta, e che ha incorniciato attraverso le sue gesta e le sua parole, giunti a noi sino ad oggi a testimonianza della grandezza e dello spessore oltre il fattore sportivo che lo hanno contraddistinto in vita e che lo contraddistingueranno sempre nel libro dei ricordi che, ogni volta, andiamo a sfogliare volentieri quando abbiamo voglia di commuoverci e allo stesso tempo fomentarci di gioia leggendo delle gesta del più grande di sempre.

Già, semplicemente più grande. Lo è stato durante la sua vita, lo sarà sempre.

Tolstoj diceva: “Come non credere nell’immortalità dell’anima, quando senti nell’animo una grandezza così smisurata

Tutto di estrema attualità in questo post, che parla di immortalità e di grandezza di un persona. Oggi in particolare, dove ricordiamo una di quelle grandi ed infinite, a 24 anni dalla sua morte il giorno dopo quella di Roland Ratzenberger ad Imola.

Obrigado Ayrton.

Senna Sempre.

Un Supereroe dal nome Michael Schumacher

Quando il mito confina nella leggenda e rende immortali le imprese di uomini straordinari nel nome dello sport

Schumacher

E’ difficile per chi vi scrive parlare oggi di Michael Schumacher.

E’ perennemente difficile perché immaginarlo in condizioni diverse da quelle gioiose in pista è una cosa del tutto impossibile. Alle volte ci penso, e mi chiedo se tutto questo sia un brutto sogno.

Un sogno talmente brutto quanto il silenzio di tutti questi anni. Come se si fosse chiusa una finestra dopo decadi rumorose di emozioni, lacrime, e successi che nessun evento potrà mai cancellare.

Alle volte il tempo ha il triste difetto di cancellare dalla memoria i ricordi di tante cose ma, per fortuna, ce ne sono alcune che non vanno via nemmeno con il passare dei secoli semplicemente perché il il modo in cui sono state scritte come in questo caso, le ha rese semplicemente immortali.

Michael. Già ti si riempie il cuore ad associare questo nome ai motori.

La persona più forte che ci sia mai stata. Io lo ricordo così dentro l’abitacolo e sul podio con quel sorriso inebriante che rendeva magica quasi ogni domenica tingendola di rosso.
La vita spesso ci fa dei regali attraverso le gesta di alcune persone, anche sportivi lontani, cui è nostro dovere custodirle nel profondo del cuore tingendole della copertina che più abbiamo amato nel corso del tempo attraverso l’immagine più bella; una vita che troppo spesso poi va a diventare beffarda applicando un destino fin troppo severo nei confronti di qualcuno che ha reso la stessa migliore.

Pensando a cosa avrei voluto scrivere nel primo post non invernale all’interno di questo blog, nel mio spazio appunti mi è saltata fuori una lettera che poco tempo dopo il suo incidente, in occasione del suo compleanno, avevo scritto nei suoi confronti; ho immaginato che sarebbe stato bello conservarla qui inaugurando un nuovo ciclo di scrittura sportiva attraverso il mio atleta preferito di sempre.

Schumacher

A te campione:

“Auguri Michael.

Questa volta lo dico io grazie. Grazie per una serie incredibile di motivi, incredibile, come te uomo tanto lontano quanto vicino.

Non riesco ad immaginare che in un letto immobile adesso ci sia tu. E’ difficile tirare fuori le parole, però si può introdurre il tutto attribuendotene una: grazie.

Sì, grazie. Grazie per quella mattina alle ore sette e trentatré minuti, quando avevo 14 anni e la febbre a 38 e un’iniezione di papà per farmi stare meglio mentre nella piccola tv c’era Rai2 e c’eri tu inseguito da Mika Hakkinen, che battevi continuamente i palmi delle tue mani al volante perché 21 anni dopo Jody Schekter avevi riportato i colori dell’arcobaleno sulle insegne del Cavallino Rampante.

Grazie per avermi fatto rispondere da piccolo alla domanda <<che cosa vuoi far da grande>>, “voglio essere come Michael Schumacher”.

Grazie per quelle innumerevoli mattine al gran premio d’Australia per le 2 di notte, non lo avrei fatto per nessuno, solo per te.

Grazie per quel pugno alzato 2 curve prima della bandiera a scacchi a Barcelona nel 1996 sotto la pioggia.

Grazie per il primo cappellino Dekra lanciato a Monza nel 1996 guidando una vettura dannatamente complicata e non perfettamente riuscita.

Grazie per Spa nel 1996 quando passasti Villeneuve con un incrocio al volante prima dell’Eau Rouge che mai avevo visto.

Grazie per essere stato assieme a Roberto Baggio il mio primo idolo sportivo.

Grazie per le innumerevoli domeniche da bambino con mio papà con quel salto sul gradino più alto del podio.

Grazie per tutti quegli anni dove non abbiamo vinto ma dove abbiamo semplicemente sognato per quel tedeschino che batteva forte tutti quanti e anche il vento.

Grazie per aver preso quasi a calci nel sedere Coulthard a Spa.

Grazie per quei 3 giri da paura nel 1998 da qualifica in gara consecutiva dove hai praticamente fermato il tempo a Budapest.

Grazie per avermi fatto capire che nella vita si sbaglia anche a certi livelli chiedendo scusa, come a Jerez nel 1998.

Grazie per quel saluto dietro una tendina di soccorso per dirci che stavi bene dopo il botto di Silverstone.

Grazie per le parrucche rosse dopo il mondiale del 2001.

Grazie per il 2002. Grazie per il 2003. Grazie per il 2004. Grazie per il 2005.

Grazie per Monza 2006 che solo chi c’era, può capire.

Grazie per l’ultima gara a Suzuka nel 2006 dove hai corso da Leggenda partendo dal fondo arrivando quarto.

Grazie ancora perché tra gli alieni sei stato il più umano.

Grazie per le lacrime davanti a un televisore in tante occasioni.

Grazie per esserci stato nel sorpasso di Mika Hakkinen con Zonta.

Grazie per aver parlato alla macchina dicendo di resistere quando c’era qualche problema. Grazie per averla baciata dopo ogni vittoria.

Grazie per essere stato una parte indelebile della mia infanzia oltre a considerarti uno di famiglia.

Grazie per avermi fatto dire “no grazie” a tanti impegni perché c’eri tu su Raiuno.

Grazie ancora per Suzuka 2000, tolto il casco, c’eri tu a piangere su Jean Todt.

Grazie perché dietro un cognome così apparentemente cattivo c’è un cuore grande quanto l’Universo intero.

Grazie per quel giro finale a Monza a fine stagione nel 2006 e i pianti a dirotto con tutto il box e muretto, perché era l’ultima volta a bordo del tuo amore rosso.

Grazie per le lacrime di Corinna a ogni finale di Mondiale sotto lo champagne.

Grazie perché meritavamo un grande uomo come te.

Grazie per essere tornato su Mercedes, anche se è stato un piccolo dolore.

Grazie per l’ultima pole a Monaco qualche anno fa dove mi facesti tornare bambino per un attimo.

Grazie per i poster. Grazie per i sorrisi. Grazie perché se la nostra squadra del cuore di calcio steccava c’eri tu sempre più in alto di tutti.

Grazie perché ogni tuo giro era come una pennellata di Monet. Grazie perché se pioveva tu eri il Re della Pioggia, e sotto un piccolo giubbotto di piumino chiudevo gli occhi e mi immaginavo sotto quel casco che portava i colori rossi nostri e della tua Germania.

Grazie per esser la persona più vicina a Superman nella vita.

Grazie per quel giorno a Torino con Marcello Lippi e con la Juventus.

Grazie per i brividi lungo la schiena. Perché guidando era come se parlassi nello stesso istante a milioni di persone nel mondo.

Grazie per quel bizzarro spot nel 2000 sulla Fiat Multipla, che se non fosse stato per te, non avrei fatto di tutto per farla comprare a papà, e ora, quando la guido, il pensiero vola spesso verso te.

Grazie di tutto, ma non rende l’idea.

Le 91 vittorie non sono niente, serve la 92ma.

Come disse qualcuno, “per te ci siam svegliati tante mattine, ora tocca a te farlo.””