1’39″32: semplicemente, Giuliano Razzoli

Vancouver, 27 febbraio 2010.

La data è di quelle da ricordare e raccontare in eterno: si dice questo perché contiene nel suo interno una delle imprese sportive italiane più importanti della storia, tra le più indelebili, e soprattutto tra le emozionanti tanto che ancora oggi riesce a far scorrere tanti brividi lungo la schiena alla stessa stregua di quella fredda ma magica serata canadese.

Il nome è di quelli importanti, decisi, tosti, ma allo stesso tempo semplici e genuini: Giuliano Razzoli, classe 1984 nativo di Castelnovo ne’ Monti in provincia di Reggio nell’Emilia, una terra importante e meravigliosa che tanto ha dato e dà allo sport soprattutto in termini di motori, quei stessi motori che quel bravo ragazzo quel giorno, decise di montare sugli sci per compiere un’impresa memorabile griffando l’albo d’oro attraverso una classe e una forza scaturenti dal profondo dell’animo e della dedizione allo sport, connesso ai propri sogni e desideri.

Cosa avvenne è cosa abbastanza nota: il “Razzo” decise quel giorno di tingere d’azzurro un cielo canadese nella gara delle gare nel tecnico maschile, lo slalom speciale agli XXI Giochi Olimpici Invernali, mettendo in fila due autentici campioni come Ivica Kostelić e André Myhrer riportando in Italia ventidue anni dopo, quell’oro a cinque cerchi che in seno italiano prima di quel giorno menzionava Alberto Tomba Calgary 1988 come ultima volta.

La crudeltà dello sci, spesso, è che sei completamente al buio circa il contrassegno dei tempi; certo, alle volte oramai ci sono i tabelloni luminosi che magari ti danno alle volte dei riferimenti a metà percorso, ma spesso non è così, e in uno sport in cui la concentrazione la fa da padrone non ci si potrebbe di certo dedicarsi a distrazioni che poi potrebbero risultare fatali. Ci sei solo tu, e le tue sensazioni, le tue emozioni, quello scendere graffiando la neve sperando dentro di te che ogni singolo battito del tuo cuore, che avverti, scandisca un cronometro consono alla posizione che conta una volta tagliato il traguardo.

Curva dopo curva, paletto dopo paletto, muro dopo muro, piano dopo piano… Scendere, via via, e sentire ed avvertire che magari quello è il momento giusto. Il momento tuo, con il pettorale numero 13 dall’altro lato del mondo dalla città in cui sei nato. Chissà cosa avrà pensato il buon Giuliano in quei momenti. Alla voglia di mordere con tutto se stesso quel risultato per il quale ha lavorato sin da bambino.

Quel momento in cui arrivi e il tabellone luminoso dice P1. Dice che sei il numero uno, sei nella storia, nell’Olimpo dello sport dove tutti son pronti ad inchinarti al tuo cospetto. Sai di avercela fatta, che quei sacrifici hanno ripagato alla grande, a pochi mesi dal tuo 25mo compleanno, chiudi gli occhi e senti solo i fuochi d’artificio nel tuo corpo misti alla stanchezza e all’adrenalina che scorre.

Quando leggi 1’39″32, quando leggi che le tue sensazioni erano quelle giuste e hai fatto bene a fidarti di loro.

Fu davvero un momento meraviglioso. Lo sport sa unire, Giuliano Razzoli fu in grado di ricucire un gap storico in quel format di gara per l’Italia che mancava da fin troppo tempo. Riuscì a fermare come pochi il tempo, con quegli occhi azzurri colmi di commozione mista a gioia che evidenziarono, nella maniera più netta, un abbraccio per tutti gli italiani che amano lo sci alpino da ogni latitudine di questo mondo.

Theodore Isaac Rubin, uno psichiatra e un grande autore americano, una volta disse che “la felicità non viene da un lavoro facile, ma dal bagliore di soddisfazione che appare dopo il raggiungimento di un compito difficile, che richiedeva il nostro meglio.”

Il tuo meglio caro Giuliano lo hai dato, lo hai conquistato, e lo hai reso indelebile facendolo introdurre all’interno della sala dei grandi momenti dello sport in generale e anche adesso come vedi, in una calda giornata di agosto, quel ricordo rimane vivo più che mai grazie ad un gesto immortale reso tale da un fuoriclasse unico ed umile che mai si è abbattuto nemmeno nelle difficoltà successive, e ha affrontato ogni sfida con la stessa passione di sempre, come quella sera, dove scaldasti i cuori di milioni di persone mediante la magia.

L’importanza di essere sé stessi. Raccontando le gesta di Giuliano Razzoli

“Credete in voi stessi.”

Nella vita di una persona al di là della professione che faccia, che sia un’atleta oppure un qualsiasi altro mestierante, ci sono dei momenti in cui l’altalena delle emozioni varia a seconda dei periodi come una bilancia pendendo dalla fase del sorriso a quella magari dello sconforto, e viceversa.

Se andiamo a ritroso nel tempo in un periodo poco più superiore a 8 primavere orsono, ritroviamo lo sguardo di un ragazzo di 25 anni, nativo di un piccolo paese nei pressi di Reggio Emilia, precisamente Castelnovo né Monti, dagli occhi di un azzurro così intenso tali da ricordare un magico mare ad agosto in Sicilia dove decide di rispecchiarsi il sole nella più definita delle meraviglie; occhi piuttosto tranquilli e mansueti prima, capaci però poi di accendersi andando ad elettrizzare tutto lo stivale e gran parte del mondo appassionato dello sci alpino, sprigionando tutta la loro determinazione e la voglia di tramutare in realtà i propri sogni in un gesto tecnico traducibile nella presa una immensa medaglia olimpica nello slalom speciale in quel di Vancouver precedendo atleti del calibro di Ivica Kostelic e André Myhrer che si dovranno accontentare dei gradini più bassi del podio.Una realtà incredibile, una pagina dello sci indelebile 22 anni dopo un certo Alberto Tomba nella stessa specialità a Calgary nel 1988.

C’è un detto che dice che “se vuoi andare forte vai da solo, ma se vuoi andare da qualche parte vacci in compagnia”; Giuliano ha preso alla lettera questo detto lasciandosi trasportare sempre dalla sua forza nei momenti che contavano, lavorando duro e sodo senza abbattersi mai nemmeno quando i risultati non arrivavano più, circondandosi delle persone che sempre hanno creduto in lui non permettendo a nessuno, ti farlo desistere dai propri sogni, dai propri desideri, dalla propria voglia di trasformare il tutto in una nuova realtà. Ieri non è frutto di un miracolo quel quinto posto, ma soltanto di duro lavoro, di intensità, di emozioni, di amore e passione per uno sport che soltanto chi pratica ad alti livelli, a livelli olimpici quale il suo è, può comprendere.

E poi? E poi tanti infortuni, tanta fatica a riprendere quel livello raggiunto oltre oceano in quel freddo inverno statunitense dove lui ha contribuito con le sue gesta a rendere maggiormente più caldo… Tante critiche da parte di chi magari parla a sproposito, tanti momenti difficili che solo i Campioni con la C maiuscola sanno affrontare e uscire. Come lui: basta crederci e lavorare, sacrificarsi e non mollare. E non è un voler fare rime o frasi ad affetti per riempire semplici paragrafi di un blog, ma la certezza più assoluta di voler ancora dire la propria, di voler esserci, di possedere la certezza ancora di sapere emozionare.

E poi? E poi finisce che il lavoro alla fine paga. E che lo sport ancora è in grado di emozionarti con la tua magia che si mescola ai tuoi mezzi, e capita che avviene alla soglia dei 34 anni appena raggiunti davanti addirittura ad una splendida pista di casa, come quella di Madonna di Campiglio, col pettorale 69, con lo slalom che ami, con la quinta posizione dopo una serie innumerevole di bocconi amari mandati giù, con quegli occhi azzurri che si bagnano col sapore della vita e delle emozioni facendoci riscoprire la stessa luce di Vancouver.

Credete sempre in voi stessi. Queste le parole di Giuliano ieri, tornato Razzo, nella pista e nella gioia del gesto sportivo. Per sé stesso e per chi non lo ha mai dimenticato.

Grazie per averci creduto ancora, grazie per essere l’esempio nello sport e anche nella vita del non arrendersi mai, andando alla ricerca dei propri sogni mantenendo sempre accesa, la luce nel proprio animo rispecchiabile all’interno del proprio sguardo.

Semplicemente, Giuliano Razzoli.